Scaltrezza

a cura di Ida Ginosa[1]  e  Andreina Zavaglio[2]

 

La parola scaltrezza significa accortezza, astuzia, furbizia. L’etimologia del termine è sia latina, da calterire (cauterium = ferro rovente o braciere) sia greca da kauterion(da cui cauterizzare in medicina). Entrambe le origini fanno riferimento al fuoco che rappresenta  qualcosa che si apprende per sempre (“il fuoco è un maestro severo ma ciò che insegna lo imparano tutti”). Lo scaltro, quindi, è colui che “è diventato accorto dopo una bruciatura”.

La scaltrezza, nell’immaginario collettivo, è spesso associata a un’interpretazione negativa che evoca la furberia del faccendiere. Ma non è così. Scaltro è anche colui che intelligentemente ha appreso dall’esperienza e l’ha tradotta in abilità; è colui che è accorto e perspicace nella parola e nelle azioni, in un’ottica di lungimiranza e previsione del futuro, sia che si occupi di questioni relative alla propria vita, anche professionale, sia che si occupi di questioni relative al bene comune, anche a livello di politica professionale.

La scaltrezza, quindi, non ha un valore di per sé. Sono i fini che la giustificano nella sua accezione positiva o negativa.  Si può essere scaltri sul piano individuale, collettivo e politico sapendo colpire o sfruttare i punti deboli di coloro che si ritengono avversari per ottenere vantaggi a titolo personale; oppure per fare scelte a vantaggio della comunità.

La scaltrezza, pertanto, è una dotazione intellettiva che deve essere, però, orientata dall’etica.

In questa prospettiva, la scaltrezza si combina con il discernimento, inteso come facoltà di una persona di analizzare, distinguere e valutare un certa realtà con cognizione di causa sul piano morale e intellettuale, con l’obiettivo di formulare un giudizio e di scegliere, di conseguenza, un comportamento appropriato alle esigenze della situazione e orientato al bene comune.

Essere professionisti scaltri, nell’accezione positiva del termine, significa essere lungimiranti nel fare scelte appropriate, senza cadere nelle trappole dell’ingenuità o della superficialità, per trasformare consapevolmente l’esperienza quotidiana in abilità spendibili nel futuro.

La scaltrezza può essere coltivata dall’infermiere in più modi. Tra gli altri, indubbiamente, la preparazione approfondita, sia clinica sia manageriale, che gli consenta di disporre di strumenti utili ad analizzare e comprendere il contesto e di prevederne gli sviluppi futuri. Preparazione, però, che non può ridursi a una conoscenza nozionistica, decontestualizzata ma che deve concretizzarsi nella capacità di integrare sapere-operare, attraverso il filtro del pensiero critico.

Analogo discorso vale per la prospettiva di politica professionale: la scaltrezza non può prescindere dalla preparazione, né dalla perspicacia nel valutare con attenzione le opzioni sulle quali è richiesta una scelta, né, tanto meno, dalla ferma attenzione ai fini collettivi che si intendono perseguire.

[1] Ida Ginosa, Tutor pedagogica Corso di Laurea in Infermieristica Università Cattolica sede Cottolengo di Torino – Membro della Comunità Sperimentale di Riflessione Infermieristica (CSRI)

[2] Andreina Zavaglio, Tutor pedagogica Corso di Laurea in Infermieristica Università Piemonte Orientale sede di Novara – Membro della Comunità Sperimentale di Riflessione Infermieristica (CSRI)