Riflessione

a cura di Vincenzo Colino[1]

 

Il termine riflessione deriva dal latino reflectĕre [volgere indietro] composto da re- [indietro] e flectere [piegare].

Tralasciando il significato che la fisica attribuisce a tale termine, relativamente al raggio luminoso che si riflette su una superficie liscia e lucida, in filosofia, la riflessione è intesa come l’operazione con cui l’intelletto conosce se stesso e le proprie funzioni, oppure, come dice Locke, “l’attività interna al soggetto capace di esaminare e formare le idee complesse” o, secondo Kant, come “conoscenza della relazione tra le rappresentazioni date e le nostre varie fonti di conoscenza”.

Più in generale, dal punto di vista intellettuale, la riflessione è intesa come il ripiegarsi della mente su se stessa, il rimandare il pensiero a qualcosa, riconsiderandolo, per pervenire a un giudizio più meditato.

In questo senso la riflessività pone una distanza tra il soggetto e la realtà, collocandolo in una posizione di esteriorità rispetto alle situazioni esperite. Tale posizione gli permette di discernere fra ciò che la mente considera senza soffermarsi e ciò che invece è meritevole di essere rivisto, ricontemplato. Tale discernimento consente di distinguere il sapere cronachistico e nozionistico, spesso labile, da quello metabolizzato e introiettato, utile per concettualizzare l’azione e formulare giudizi ponderati.

Nella vita quotidiana degli infermieri – nella clinica, nella direzione e organizzazione dei servizi, nella formazione e nella ricerca – si manifestano continuamente problemi la cui soluzione necessita di ragionamenti complessi, con tempi di comprensione e di analisi ragionevolmente lunghi.

Tanto più nella politica che, per sua natura, richiede la costruzione, nient’affatto semplice e immediata, di appropriati schemi di comprensione e di azione, da capitalizzare come patrimonio intellettuale riutilizzabile nel tempo. Tali schemi non possono che essere frutto di un meditato studio riflessivo sia sul piano teorico sia su quello esperienziale.

Esistono, però, al riguardo due posizioni critiche.

La prima è legata alla percezione comune, anche in chi ricopre ruoli politico-professionali, che la realtà operativa, spesso costrittiva, non lascia tempi e spazi sufficienti di riflessione. Tale percezione, però, è frutto di un’erronea concezione che considera il riflettere e l’agire come due pratiche nettamente distinte, tendenti a escludersi. Non è così. Spesso, al contrario, l’agire e il riflettere si compenetrano, alimentandosi reciprocamente. È quello che D. Schön chiama “riflessione nel corso dell’azione” e“riflessione sull’azione”.

La seconda posizione è legata all’atteggiamento riflessivo sì, ma individualistico, privo di confronti e di dispute serie, che porta i soggetti a sostenere argomentazioni – ma spesso solo opinioni – ritenute valide per il solo fatto di essere state da loro pensate. Questa criticità alimenta la sterilità del pensiero pregiudiziale e stereotipato a scapito della ricerca della miglior verità possibile.

Allenarsi, sul piano individuale, a coniugare consapevolmente riflessione e azione e, sul piano collettivo, intensificare le occasioni di dibattito, di confronto sulla base di una riflessione collettiva fondata, rappresentano due strategie utili che una buona politica professionale dovrebbe perseguire. Ma sono anche, al contempo,  due strategie rivitalizzanti per la stessa politica professionale, nella misura in cui chi la interpreta rifugge dalle semplificazioni di un pensiero reattivo, immediato e contingente e dall’arroccarsi su posizioni egocentriche.

[1]Vincenzo Colino, Infermiere laureando magistrale – S.C. Cardiologia 1– ASL Città di Torino – Ospedale Maria Vittoria di Torino – Membro della Comunità Sperimentale di Riflessione Infermieristica (CSRI)