Motivazione

a cura di  Giuseppe Marmo[1] con il contributo di Alessandro Bertellini[2] e Marco Orusa[3]

 

Deriva dal latino motus e indica una forza che spinge una persona, un gruppo o una collettività a decidere e a fare qualcosa per soddisfare un bisogno, che viene percepito in chiave razionale ma anche, e a volte soprattutto, in chiave emotiva. È l’insieme di ragioni che inducono gli individui o i gruppi  a comportarsi in un certo modo e che, per estensione, li rendono risoluti nel tendere verso il “bene”.

Si osserva come il termine presupponga nella sua definizione movimento, dinamicità.

In questa prospettiva, tralasciando la letteratura sugli aspetti psicologici, è interessante evidenziare il legame tra motivazione e politica. Si può notare come spesso l’azione sia guidata da motivazioni di tipo emotivo. Non per nulla si parla di “passione politica”. Va considerato, però, che le motivazioni/passioni, anche quelle positive, possono essere ambigue e insidiose, soprattutto se usate acriticamente e/o ideologicamente. Nella sfera politica, la vera differenza tra un uso critico e un uso ideologico delle motivazioni/passioni non sta tanto nella distinzione tra passioni positive o negative, ma in quella tra motivazioni di interesse individuale, prive di legami, e quelle che costruiscono connessioni, che puntano al bene comune. In questo senso, le motivazioni possono essere distinte in pubbliche o personali.

Le prime si riferiscono a quegli ideali, di ordine ideologico, etico, morale, storico, religioso o politico che muovono leader,  élite e popoli verso un fine comune. Esse costituiscono da sempre il substrato di una civiltà, la uniscono, la animano e la muovono. Le seconde nascono dal desiderio di riconoscimento, dall’ambizione di distinguersi, dalla necessità di soddisfare un proprio desiderio. Le motivazioni individuali, in politica, non possono essere anteposte a quelle pubbliche.

Oggi, anche nella comunità infermieristica, le motivazioni, soprattutto a livello collettivo, paiono subire, per svariati motivi, un indebolimento. Diffuso è il disagio causato dalla percezione sia di un inadeguato riconoscimento a livello sociale sia di una non chiarezza di obiettivi comuni; disagio che ha generato anche un certo disincanto e una certa disaffezione nei confronti della politica professionale e della motivazione a viverla in prima persona in termini meno attendisti o rivendicativi e più propositivi.

E allora, se, come detto poc’anzi, la differenza tra dimensione collettiva e individuale è data dai fini, come contraltare dei desideri personali, la politica professionale è chiamata oggi a riverberare nei suoi dibattiti il discorso sui fini che una professione deve perseguire più che sui mezzi. Il richiamo vigoroso e continuativo ai fini e la conseguente trasparente coerenza delle scelte, solleva il dibattito pubblico dal livello semplicemente rivendicativo e di breve periodo, proponendo visioni professionali e sociali di ampio respiro e di lungo termine, valorialmente fondate, sicuramente più motivanti.

[1]Giuseppe Marmo – Coordinatore della Comunità Sperimentale di Riflessione Infermieristica (CSRI)

[2]Alessandro Bertellini, infermiere laureato magistrale, Dipartimento area medica, s.c.di medicina specialistica 2, Azienda Santa Croce e Carle di Cuneo – membro della Comunità Sperimentale di Riflessione Infermieristica (CSRI)

[3]Marco Orusa, infermiere laureato magistrale, Dipartimento area medica, s.c. di medicina specialistica 2, Azienda Ospedaliera Santa Croce e Carle di Cuneo – membro della Comunità Sperimentale di Riflessione Infermieristica (CSRI)

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